Il signor Luigi Tadiello ha avuto un’esperienza molto particolare della migrazione forzata: suo padre, Giorgio Tadiello, che durante la Seconda Guerra Mondiale militava nell’esercito italiano, venne catturato dai nazisti in occasione del disastro politico che era conseguito all’armistizio tra le truppe italiane, gli Stati Uniti e l’Inghilterra, il tutto quando il piccolo Luigi aveva appena nove mesi. In questa intervista ci parlerà di questa avvincente storia e ci esporrà il suo pensiero riguardo alle migrazioni al giorno d’oggi.
Noi: L’immigrazione di massa è una problematica molto attuale. L’Italia, in particolare, è una delle mete principali dei migranti, vista la posizione geografica. Secondo Lei, quali sono le ragioni, nella maggior parte dei casi, che spingono le persone a cambiare patria?
L.T.: Allora, anzitutto occorre dire che l’Italia è una scelta privilegiata per la presenza di migliaia di chilometri di costa, in particolare la Sicilia. Per quanto riguarda le motivazioni, esse sono, purtroppo, conosciute: la guerra, in primo luogo (basti pensare alla Siria e alla Somalia), poi la fame (specialmente nei Paesi in crisi, come molti in Africa), i regimi dispostici e l’intolleranza religiosa. Molte persone, inoltre, anche se a me questa distinzione non piace per niente, differenziano i migranti in quelli forzati e quelli economici; questi ultimi vedono nell’emigrazione la spesso utopistica possibilità di avere una vita migliore e spesso non avrebbero diritto di stabilirsi in Italia.
Noi: Secondo Lei è più giusto accogliere queste persone o alzare le barricate per impedir loro l’accesso alle coste italiane?
L.T.: Beh, le barricate, a mio avviso, sono inutili anche quando le soluzioni sono drastiche, perché, specie se si parla di migrazioni bibliche, non fermano i migranti. Se si volesse davvero fermarli, bisognerebbe essere più lungimiranti, investendo cioè nei Paesi da dove provengono per fare in modo che essi abbiano nel loro luogo d’origine la possibilità di vivere dignitosamente. Tuttavia, molti partiti xenofobi in Europa promuovono la difesa dall’afflusso di migranti alzando anche barriere fisiche.
Noi: Anche la Sua famiglia ha avuto esperienze di migrazione forzata. Potrebbe raccontarci brevemente come suo padre Giorgio fu costretto a “migrare” in Germania durante la Seconda Guerra Mondiale?
L.T.: Dunque, mio padre non era certamente migrato per motivi di fame o altro, ma a causa della guerra. Egli, infatti, militava nell’esercito italiano negli anni Quaranta e fu quindi presente nel giorno 8 settembre 1943, data in cui fu comunicato l’armistizio tra le truppe italiane, gli Stati Uniti d’America e l’Inghilterra. Da quel giorno in poi, le truppe tedesche presenti nel Nord Italia catturarono la parte dell’esercito italiano lì rimasta, esercito considerato traditore in quanto ex-alleato. Mio padre faceva parte proprio di quest’ultimo. In quel periodo, l’esercito italiano non si aspettava assolutamente questa reazione in quanto aveva pensato che, in occasione dell’armistizio, sarebbe cambiato solo il nemico, passando da una parte all’altra; ma non fu così. 600.000 soldati vennero deportati in Germania in diversi campi di concentramento e furono denominati “internati militari” al solo scopo di non definirli “prigionieri di guerra” e di poterli quindi sfruttare per i lavori forzati (i prigionieri di guerra non potevano essere costretti al lavoro in base alla Convenzione di Ginevra). La prigionia è durata 18 mesi e le condizioni erano talmente disumane da minare volutamente il senso di dignità degli internati. Purtroppo, circa il 20% di queste persone non fece mai ritorno a casa. Va detto che questi prigionieri sono stati davvero dei resistenti nei confronti dei nazisti e della Repubblica di Salò, in quanto hanno sempre rifiutato ogni forma di collaborazione con essi, nonostante il fatto che, passando dalla loro parte, avrebbero potuto benissimo sfuggire a tutta quella sofferenza. Inoltre, il giro di informazioni era praticamente inesistente e per molti mesi sia mio padre che la mia famiglia furono totalmente all’oscuro della reciproca condizione.
Noi: Si ricorda, nonostante fosse molto piccolo all’epoca, gli stati d’animo e le emozioni provate dalla sua famiglia durante la prigionia di suo padre?
L.T.: Questa è una bella domanda. Quando lui tornò dalla prigionia, io avevo tre anni ed ero vissuto per tutto quel tempo in “simbiosi” con mia madre e lei con me, tant’è vero che lei mi disse sempre che, se non ci fossi stato io, all’epoca, probabilmente lei non ce l’avrebbe fatta a sopravvivere. Tutti mi dicevano che mio padre era un eroe, un vincitore, però, in effetti, quando me lo sono trovato davanti per la prima volta, la mia prima impressione è stata quella di avere un estraneo di fronte a me. Il mio ricordo di lui, infatti, è quello di una persona chiaramente molto scossa e provata, con la quale, nonostante ci volessimo tutto il bene del mondo, proprio a causa di questi nostri traumi, non ho mai avuto quella confidenza estrema e viscerale che, normalmente, si ha nel rapporto padre-figlio.
Noi: Alla luce di quello che è successo a suo padre, che cosa pensa riguardo al fatto che ancora oggi esistano molteplici fenomeni di immigrazione forzata?
L.T.: Beh, più che forzata, io la definirei “forzosa”, che, secondo me, rende meglio l’idea. Infatti, mio padre fu catturato, ma, al giorno d’oggi, non è proprio così il fenomeno. Se guardiamo la Libia, per esempio, il fenomeno di migrazione è determinato da quello che, ormai, è diventato un business della malavita superiore a quello della droga, cioè lo scafismo, che persuade, anzi, quasi spinge, forza, appunto, i migranti a partire, guadagnando anche molti soldi proprio da loro. Se poi prendiamo in esame la Siria, beh, a loro non rimane che scappare, perché, presa tra due, tre fuochi diversi… La città di Aleppo, per esempio, è ormai quasi completamente rasa al suolo e agli abitanti non rimane che la fuga. Per l’Unione Europea questo fenomeno è da contrastare, tant’è vero che ha riempito di fondi la Turchia affinché non faccia passare i migranti. Questo provvedimento, per ora, sembra funzionare, ma molti Paesi europei sono comunque sempre più pieni di profughi. Anche questa, sostanzialmente, è una sorta di schiavitù, visto che loro cercano di fuggire e approdare in altri Paesi, ma trovano ogni tipo di barriera per cercare di fermarli.
Noi: Come pensa si potrebbe affrontare, senza danneggiare né i profughi né gli abitanti locali, il problema dell’immigrazione?
L.T.: Eh… questa domanda mette un po’ il dito nella piaga, perché, se noi guardiamo l’Italia, abbiamo sfiorato, mi pare, i 200.000 profughi lo scorso anno, e il loro numero è sempre in aumento. Ecco, qui andrebbe fatta la distinzione tra chi ha diritto di asilo e chi no, perché gli aventi diritto di asilo, si sa, fuggono davvero da situazioni disastrose, mentre chi non lo possiede, secondo le regole europee, andrebbe identificato e poi rispedito indietro. Ma qui direi che c’è un’ipocrisia che dura da un sacco di anni. Ci hanno anche accusato, e pure giustamente, al riguardo, visto che lasciavamo passare la maggior parte dei migranti per il nostro Paese, senza identificarli, perché tanto si sapeva che la maggioranza di loro sarebbe andata tutta verso le mete principali dell’epoca, cioè la Germania o la città di Londra, le quali si sarebbero occupate di accoglierli. Adesso, invece, tutti capiscono che la goccia sta facendo traboccare il vaso, nel senso che, intanto, ai profughi le tutele bisogna dargliele, e poi, nel caso in cui vengano respinti dal punto di vista burocratico, hanno diritto a tre gradi di ricorso. A molti potrà sembrare che, visto che si possono effettuare i controlli del diritto di asilo, queste misure siano eccessive, ma, in realtà, ogni caso è diverso dagli altri e va analizzato distintamente. Quindi: carenze nostre e dell’Europa che, probabilmente, è più attenta a reclamare il rispetto delle norme economiche che a occuparsi dei migranti.
Noi: L’ultima domanda è un po’ più colta. Il filosofo Seneca, nell’opera Consolatio ad Helviam matrem, riporta un brano relativo al rapporto tra migrazione e ambiente (che risulta attuale anche dopo 2000 anni), nel quale spiccano due interessanti passi: “Incessante è il peregrinare dell’uomo. In un mondo così grande ogni giorno qualcosa cambia: […]. Ma tutti questi spostamenti di popoli che cosa sono se non esili in massa?”. Che cosa ne pensa riguardo queste affermazioni?
L.T.: Beh, in questo dialogo che Seneca scrive alla madre nel periodo di esilio sotto l’imperatore Claudio per consolarla, il filosofo allarga il discorso e parla degli spostamenti di migrazione e delle loro cause, scrivendo un passo che espone i motivi delle migrazioni dell’epoca, trattando un tema che fa sembrare che questo testo sia stato scritto ieri o l’altro ieri. Sembra quasi un giornale di attualità: fughe da guerre, distruzione e spoliazioni, lotte intestine, persecuzioni religiose, eccessiva densità di popolazione, terremoti, pestilenze e attrazione verso Paesi nei quali sembra che “scorrano latte e miele”. Che dire? I motivi sono ancora gli stessi e lui dice, e qui si può essere d’accordo o meno, che sono inevitabili. Per quanto riguarda la mia personale esperienza, ho il ricordo vivo, tutt’ora impresso negli occhi, della stazione ferroviaria di Asiago, quando da piccolo ripartivo in treno per tornare a casa dopo due settimane di vacanza. Rivedo le scene delle partenze dei migranti italiani. C’erano i genitori ed i nonni che, ormai anziani, abbracciavano per l’ultima volta tra i singhiozzi i figli ed i nipoti in partenza per l’Australia, convinti che non li avrebbero mai più rivisti. Queste scene si vedono ancora al giorno d’oggi nelle più comuni immagini di migrazione. Purtroppo direi che le cause che li costringono a partire provengono da molto lontano: comportamenti da parte di molti Paesi improntati all’egoismo e per lo sfruttamento di manodopera a bassissimo costo, all’unico scopo di ottenere il massimo profitto. Pensiamo anche, ad esempio, alla Libia e all’Iraq, dove Nazioni forti hanno deposto i dittatori per tornaconti sempre di tipo economico, ottenendo non certo la soluzione dei problemi, ma solo una guerra totale con centinaia di migliaia di morti e milioni di esuli. In fin dei conti, queste situazioni rendono solo gli Stati più ricchi sempre più ricchi e i Paesi poveri sempre più poveri.
Noi: Va bene, grazie, signor Luigi, La ringraziamo per averci concesso la Sua disponibilità per questo progetto e Le auguriamo un buon proseguimento.
L.T.: E’ stato un vero piacere!
Noi: Grazie!
Boaretto Matteo, Cavinato Simone, Tadiello Gabriele, Tognon Emma, Valentini Elisa