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(fonte: Centro Astalli)

Questo blog si chiama  Armi e Bagagli 2017 ed è dedicato al tema delle migrazioni e al diritto al futuro.  É la seconda parte parte di un programma biannuale intitolato Armi e bagagli avviato nell’a.s. 2015-16 e dedicato a guerre, conflitti e diritto alla pace.
Questo blog è stato ideato e curato da Fondazione Fontana onlus nell’ambito del progetto World Social Agenda (a.s. 2016-17) centrato sul fenomeno delle migrazioni alla scala locale, nazionale e globale.
Il blog è stato uno spazio di dialogo attraverso il quale collaborare condividendo conoscenze, esperienze ed idee,  un luogo di incontro e di apprendimento.

Gli autori delle interviste qui di seguito pubblicate sono studenti e studentesse delle scuole secondarie di secondo grado di Padova e provincia che, insieme ai loro insegnanti, hanno partecipato al progetto World Social Agenda nell’anno scolastico 2016-17. BUONA LETTURA A TUTTI E TUTTE!

intervista a ERMAL

Gruppo: Ciao
Ermal: Ciao a tutti;
G: Come ti chiami?
E: Mi chiamo Ermal;
G: Quanti anni hai?
E: Diciassette;
G: Da dove vieni?
E: Albania;
G: In quale città?
E: Durazzo in albanese Durrës;
G: Da quanti anni sei in Italia?
E: Dodici anni;
G: Perché hai lasciato il tuo paese?
E:  Ho lascito il mio paese per ragioni economiche, il futuro era incerto;
G: Attualmente ti manca il tuo paese?
E: Sì. Abbastanza. Soprattutto perché li abitano i miei nonni e amici;
G: Come sei arrivato in Italia?
E: Sono arrivato in Italia in Traghetto;
G: E’ stato difficile il viaggio?
E: No;
G: Quando sei partito hai avuto difficoltà a livello burocratico ?
E: No No, è stato tutto molto semplice;
G: Come ti trovi attualmente in Italia?
E: Adesso molto bene, però al inizio ho avuto molti problemi per la lingua e per i pregiudizi;
G: Ti sei sentito accolto?
E: Sì sì;
G: Momentaneamente studi o lavoro?
E: Studio
G: Hai fratelli o sorelle?
E: No no, sono figlio unico;
G:Quali sono le ragiorni che hanno spinto te e i tuoi famigliari a lasciare l’Albania?
E: In Albania l’economia non andava bene e non c’era lavoro, invece in Italia tutto è migliore, abbiamo una vita migliore;
G: Quando hai lasciato il tuo paese eri triste?
E: Sì, perché ho lascito la mia patria;
G: Con chi hai deciso di partire?
E: Prima è arrivato in Italia mio papà, ha svolto tutte le faccende burocratiche e poi simo arrivati noi
G: Quali sono le differenze maggiori tra Albania e Italia?
E: Le difficoltà economiche, in Albania c’è meno lavoro, qua la vita è migliore, in Albania le città sono per lo più distrutte, invece in Italia sono più moderne, le strade sono asfaltate;
G: Attualmente hai la cittadinanza italiana?
E: No;
G: Pensi hai egli Italiani siano razzisti? Hai avuto problemi di razzismo?
E: All’inizio, quando sono arrivato alle elementari, ma ora no;
G:Come prevedi il tuo futuro?
E: Sto studiano cucina, vorrei diventare un cuoco;
G: Vorresti trasferirti, o rimanere in Italia?
E: Vorrei andare in Germania o America;
G: Perché vuoi andare in questi stati?
E: Ho voglia di scoprire cose nuove, nuove cucine;
G: I tuoi famigliari resteranno qui in Italia?
E: Non lo so;
G: Quanto tempo ci hai messo ad ambientarti in Italia?
E: Non, non ho avuto problemi, a parte con la lingua;
G:I tuoi famigliari hanno trovato subito lavoro?
E: Si, mio papà, invece mia mamma ci ha messo più tempo;
G: Che lavoro fanno i tuoi genitori?
E: Mio papà lavora alla CISL, invece mia mamma è impiegata in una azienda;
G: I tuoi genitori prima di partire hanno fatto tanti sacrifici?
E: Sì, mio papà, prima di arrivare in Italia, ha lavorato in Grecia, dopo aver guadagnato un po’ di soldi è arrivato in Italia;
G: Com’erano le condizioni politiche nel tuo paese?
E: Quando sono nato io si era appena superata un lunga guerra civile, ci è voluto un po’ per tornare alla normalità;
G: Grazie per il tempo che ci hai dedicato e per la bellissima storia che ci hai raccontato
E: Grazie a voi.

Savio Riccardo, Cattelan Sofia, Micheltto Filippo, Pieralberto Allegro e Nicola Grigoletto

Intervista a Erika

Ciao,come ti chiami?
Ciao, mi chiamo Erika.
Quanti hanno hai?
Ne ho 17.
Da dove vieni?
Vengo dalla Colombia.
Da quale città precisamente?
Precisamente vengo da Cartagena de Indias.
A che età sei arrivata in Italia?
Sono arrivata qui in Italia quando avevo 4 anni.
Ti trovavi bene in Colombia?
Si, era molto bella.
Cosa facevi durante le tue giornate quando vivevi in Colombia?
Da bambina passavo le mie giornate a giocare, mi arrampicavo sugli alberi e cose del genere.
Ti è dispiaciuto partire e lasciare la tua casa?
Si,poiché in Colombia ho tutti i miei parenti e mi mancano.
Con chi sei partita? Quali sono stati i motivi che ti hanno spinto a partire?
Sono partita con mia mamma e mio fratello, mentre mio papà era già qui in Italia. Siamo partiti più che altro per motivi lavorativi. La tua prima impressione sull’Italia.
Fredda, perché sono arrivata in inverno.
Ti sembra di essere stata accolta bene?
Si, prima sono stata a casa di mia zia e poi ci siamo trasferiti nella casa dove oggi abitiamo.
Ora come ti trovi, per quanto riguarda i rapporti con le altre persone?
Bene, mi dicono che sono una persona socievole e quá gli Italiani sono molto simpatici.
Cosa fai nella tua vita?
Sono una studentessa e studio moda presso l’istituto Ruzza di Padova.
Sogni mai di ritornare in Colombia?
Si, ma solo per le vacanze visto che non è molto sicuro come posto.
Pratichi qualche religione?
No, non sono battezzata.
Hai mai subito atti di bullismo o discriminazione in Colombia? E qui in Italia?
In Colombia no, qui in Italia non spesso e se succedeva riguardo al colore della pelle.
Cosa pensi degli Italiani e della Comunità Italiana?
Sono persone molto simpatiche e socievoli.
Cosa ti aspettavi dagli Italiani prima di partire?
Sinceramente non mi ero fatta un’idea, quindi niente.
Che cosa ti manca del tuo paese?
Il mare principalmente e le sue diverse tonalità di blu.
Hai trovato qualche affinità con gli Italiani e i Colombiani?
Sinceramente essendomi trasferita da molto piccola non ricordo molto bene com’erano le persone Colombiane, quindi non ho trovato molte affinità.
Da dove vengono i tuoi genitori?
I miei genitori sono entrambi Colombiani.
Attualmente cosa fanno i tuoi genitori?
Mia mamma attualmente lavora presso un centro anziani. Mio papà invece è un ingegnere meccanico e lavora all’estero.
Viaggia molto?
Si.
Invece in Colombia si occupavano delle stesse attività?
No, mia mamma in Colombia doveva finire l’ultimo anno di infermeria e con la partenza non l’ha finito. Mio papà invece faceva anche in Colombia l’ingegnere meccanico.
Sei più tornata in Colombia da quando sei partita?
Si, sono tornata una volta. Precisamente nel 2006 e poi non sono più tornata, poiché viaggiare in 4  verso i Caraibi è un po’ costoso.
Dove sei stata quando sei tornata in Colombia?
Sono stata a Caracoles a trovare i miei parenti da parte di mia mamma e poi a Bogotà perché ho un parente lá vicino.
In generale come si vive in Colombia?
Ci sono persone tanto ricche e dall’altro estremo tanto povere. Ovviamente c’è anche un gruppo intermedio, mediamente ricco.
I Colombiani hanno qualche pregiudizio sugli Italiani?
Principalmente è ricordata per la pizza, mafia…i soliti cliché.
Da grande vorresti tornare a vivere in Colombia?
Vivere no. Andarci in vacanza anche si. Se devo scegliere un luogo dove abitare sceglierei le zone asiatiche, come Giappone o Corea del Sud.
Quando sei arrivata in Italia quanto tempo ci hai messo ad apprendere l’Italiano?
Ci ho messo una settimana circa.
Cosa ti piacerebbe studiare?
In generale moda, precisamente una specie di stilista.
Ci sono differenze di cibo tra l’Italia e la Colombia?
Si, qui in Italia si mangia tanta pasta,pizza e tante verdure e carne.In Colombia si è soliti mangiare pesce, platano o plantano (un frutto simile alla banana) e riso.
Ci sono tante differenze riguardo la cultura?
Si, ad esempio in Colombia si balla tanto e sin da piccoli si studia ballo. Molto antica è invece il mapalé e la cumbia (un ballo con gonne molto lunghe).
Grazie per l’intervista. Ciao!
Ciao!

Benvegnù Alessia , Bortoletto Alessia, Turetta Gabriele

intervista a Martinolich Roberta

come ti chiami e quanti anni hai?
mi chiamo Martinolich Roberta e ho 52 anni
quali sono le tue origini?
vengo dall’ex Jugoslavia. i miei genitori sono nati nell’isola di Lussino, vicino a Fiume, quando ancora era Italia. dopo la seconda guerra mondiale mio papà è migrato dalla Jugoslavia all’Italia perchè non si sentiva jugoslavo, mentre mia mamma è rimasta lì. dopo essersi sposati sono andati a vivere a Genova, dove sono nata io.
i tuoi genitori hanno effettuato altre migrazioni in seguito?
sì. mio papà è tornato a Fiume per motivi di lavoro e noi lo abbiamo seguito. sono rimasta lì per 16 anni, dove ho frequentato le scuole italiane. poi putroppo mio padre è mancato e siamo tornati in italia
sei più tornata nell’ex Jugoslavia
sì ci sono tornata tutti gli anni perchè mia mamma aveva una casa nell’isola di Lussino, quindi ci andavo tutte le estati in vacanza
ora come ora lasceresti l’italia per andare a vivere in un altro paese?
no, perchè qui sono cresciuta e ho cresciuto i miei figli

Riccardo Cecchi, Nicole Genero, Francesco Lasalvia, Gaia Pulliero, Beatrice Questori

Intervista a Riccardo Placchetta

Buongiorno. Come si chiama?
Riccardo Placchetta
Quanti anni ha?
E’ la cosa imbarazzante…ottanta precisi.
Dov’è nato?
Roma
Che cosa l’ha portata qui a Vicenza?
Nel 1946, come ben sapete nacque la Repubblica e due giorni dopo io ebbi il mio combattimento. In un campo sportivo di un quartiere di Roma trovai una scatoletta, bella a vedersi, per metterci il calamaio, invece era una bomba. Aveva la sicura, la sfilai, ma non sapevo affatto fosse una bomba, ero un bambino di nove anni. Poi battei per aprirla e balzai in aria, la presi in pieno perché ero curvo sopra, mi ha preso gli occhi però nemmeno un dito, tante cicatrici. Ho fatto i miei primi studi in una scuola per non vedenti a Roma e poi sono andato a Bologna, in un istituto di formazione, nel liceo Galvani e studiavamo insieme ai vedenti. Terminati gli studi ho frequentato l’università di Bologna in cui volevo studiare legge ma amai di più la filosofia così mi iscrissi a lettere e filosofia. Nel frattempo conobbi una ragazza piuttosto carina, padovana, a Borgo di Valsugana. Dopo ci sposammo e andammo a vivere a Bologna dove presi l’abilitazione per insegnare ai licei. In seguito andammo ad Assisi dove nacque Francesco e poco dopo ci trasferimmo a Vicenza, poiché ottenni la cattedra in questa città. Arrivai qui con mio figlio Paolo lasciando mia moglie ad Assisi con gli altri tre figli.
Quali sono state le maggiori difficoltà della sua migrazione da Roma, Bologna, Assisi e infine Vicenza?
Non sono un tipo che si spaventa facilmente, ci sono state delle difficoltà ma niente di insormontabile.
Ci ha prima accennato dei suoi viaggi in Africa, ce ne vuole parlare?
Il mio sogno di andare in Africa l’avevo già da ragazzo, lo proposi a mia moglie ma il senso femminile prevalse. Terminai i miei studi e decisi di partire per l’Africa a cinquant’anni. Mi rivolsi ai Comboniani, un’associazione religiosa missionaria e partii l’8 settembre 1987 per il Togo. Ci andai da solo. Giunto lì provai molte sensazioni. Volevo cambiare la realtà in Togo, ma per cambiare la realtà dovevo decidere di abbandonare la scuola. Abbandonato il mio lavoro io e altre persone siamo riusciti a mantenere molti ragazzi poveri, nella capitale abbiamo fondato il centro polivalente di Sant’Agostino, aperto a tutti. Inoltre la comunità islamica ci ha dato il terreno per costruire il centro per non vedenti San Francesco. Mi dicevano sempre: “La perdita della vostra vista è stata per noi la vita”. Quello che proponevo era improponibile, come potevano dei ciechi, abituati a essere visti a testa bassa, studiare?
Grazie di aver condiviso con noi la vostra esperienza.
Grazie a voi ragazzi.

Serena Pegoraro, Leonardo Placchetta, Nicolò Rigoni, Elisa Rossetto, Elena Toson

La storia di Aymane

Ciao, come ti chiami?
Mi chiamo Aymane En Namli.
Quanti anni hai?
Diciassette.
Da dove vieni?
Da Casablanca, in Marocco.
Che cosa hai provato quando i tuoi genitori ti hanno detto che vi sareste trasferiti?
All’inizio non mi interessava, ma poi ho capito che l’Italia è molto meglio del Marocco per molte cose, per i ragazzi e come si comportano.
Come si comportano a Casablanca?
Fanno quello che vogliono, se stai giocando a calcio con un tuo amico ti chiedono se possono giocare e se tu rispondi di no ti dicono che ti rubano la palla, così non gioca nessuno.
Ti sei chiesto perchè hai dovuto abbandonare improvvisamente amici, scuola per venire in Italia?
Mia mamma mi diceva solo che dovevamo raggiungere mio papà che era qui in Italia perchè lavorava qui.
Quindi tuo padre era già in Italia? Da quanto?
Sì, da quando aveva diciotto anni.
E lui tornava in Marocco a trovarvi?
Sì, due mesi in inverno e due settimane in estate.
Tu torni mai in Marocco?
Sì, rimango là tutta l’estate, da fine giugno/inizio luglio fino all’inizio di settembre.
Che cos’hai trovato di diverso in Italia rispetto al Marocco?
Di tutto, qui si vive meglio, qui la gente è aperta, non come là.
Hai avuto esperienze di razzismo qui in Italia?
All’inizio un po’, ma poi è andato tutto bene.
E con la lingua come ti sei trovato?
Ho imparato l’italiano piano piano, andando a scuola e all’inizio parlavo in francese con i miei compagni.
E vi capivate?
Non sempre, ma io andavo in giro a giocare a calcio e quindi ho fatto amicizia.
In futuro ti immagini di vivere qui in Italia o in Marocco?
In entrambi, ma mi piacerebbe lavorare in Italia e andare d’estate in Marocco come adesso.
C’è qualcosa in particolare del tuo paese d’origine che ti ricordi?
La mia famiglia e i parenti.
Com’è stato il viaggio per venire qui in Italia?
Sono arrivato in aereo e ci ho messo tre ore e appena sono arrivato ho capito che qui faceva più freddo che in Marocco.
Ti chiedi mai come sarebbe stato se fossi rimasto in Marocco?
Sì, ma in Marocco c’è una legge che dice che se vuoi venire in Italia puoi portare tua moglie, ma non tuo figlio se ha già diciotto anni perchè lì è già considerato un uomo adulto. Infatti io sono arrivato quando avevo dodici anni, se ne avessi avuti diciotto non sarei potuto venire qui perchè mio papà non avrebbe potuto portarmi.
Saresti voluto andare in altri paesi invece dell’Italia?
Sì, mi sarebbe piaciuto andare in Germania o in Francia perchè parlavo già il francese.
Ok, grazie di aver condiviso con noi la tua esperienza.
Prego.

Intervista di Benedetta Borina, Liu Yeruike, Leonardo Magliani, Angelo Peraro, Alice Bada

Cosa pensiamo riguardo le migrazioni?

“…E una donna in riva al mare
Mentre il sole va giù
che con la mano saluta
i sogni che passano
e lascia una scia
che non va più via nell’alta marea ….
Dimmi dove si nasconde
La promessa libertà
Questi fiori fra le onde
Chiedono pietà
Non più guerre e religioni
Ma un’altra vita un sogno in più
Cielo, se mi senti almeno tu
Lascia che sia un angolo di blu.”

                                                        Irene Fornaciari, Blu (2016)

Pensiamo  che coloro che arrivano in barca come clandestini debbano essere accolti perché dopotutto sono anche loro uomini e donne come noi. Molto spesso però i pregiudizi invadono i nostri discorsi che finiscono per risultare razzisti senza però tener conto di quanto sia complesso il fenomeno. Pensiamo però che sia doveroso fare delle distinzioni tra chi arriva per necessità e vuole vivere una vita migliore in onestà e con impegno, e chi invece arriva con la pretesa di avere facilmente  un futuro assicurato.
Riguardo la situazione italiana  noi pensiamo che il problema derivi dalla leggerezza con cui è stato firmato l’Accordo Schengen, il quale prevede che il visto deve essere rilasciato dal primo stato di arrivo, il quale vincola l’immigrato a restare in esso  fino a nuova disposizione. Quindi una possibile soluzione crediamo possa essere la revisione dell’Accordo in modo tale che tutti gli stati appartenenti all’Area possano collaborare affinché il fenomeno sia condiviso e non pesi principalmente sulle spalle di uno stato che non è in grado di gestire un fenomeno così grande da solo, come per esempio l’Italia.
Riguardo le immigrazioni economiche noi crediamo che sarebbe opportuno dare un aiuto concreto a quelle terre da cui provengono la maggior parte degli immigrati e che in passato noi occidentali abbiamo sfruttato per arricchirci mettendo le popolazioni autoctone in condizioni di estrema povertà,  in modo che si sviluppino al loro interno creando posti di lavoro che comporterebbero reddito per le famiglie che vivrebbero in migliori condizioni.

Miranda in Russia

Ciao
Ciao, ciao Giulia
Come ti chiami?
Io mi chiamo Miranda
Dove sei nata?
Sono nata a Pescara
E dove ti sei trasferita?
Sono andata, quindi, mi sono trasferita a Mosca
E quali sono i motivi della tua migrazione?
Allora, vorrei chiarire che sono andata a Mosca e nel 2000 e sono rimasta in quella città fino al 2004. I motivi… diciamo che la partenza era legata allo studio della lingua russa, in realtà poi, dopo un anno di studio, ho deciso di rimanere per motivi di lavoro e anche perché molto interessata a capire meglio cosa poteva offrirmi quel paese, cosa io cercavo in quel paese.
Perciò sei partita da sola?
Sì, solo partita da sola anche se il viaggio inizialmente era stato organizzato dall’università, quindi c’erano altre ragazze, mie compagne di studio che erano già lì. Mi avevano anticipata di un mese ma quello fu un anno difficile per la Russia, in particolare per la città di Mosca, perché proprio nell’agosto del 2000 ci furono degli attentati alla metropolitana e l’8 agosto del 2000 nella stazione metropolitana di piazza Pushkin morirono tante persone, tanti feriti, e quindi quelle mie amiche di università, in realtà poi, spaventate da questi eventi hanno deciso di rientrare. Io in realtà sono partita il primo settembre, sì, da sola, ero grandicella, però in un paese completamente diverso dall’Italia, molto lontano e anche poco conosciuto; quindi, mi faceva paura.
Perciò quando sei arrivata l’ambiente, quello che ti sei trovata, com’era?
Una domanda molto bella e molto complicata, alla quale è difficile rispondere in poche parole. Uno perché si può immaginare quanto un paese dove si parla un’altra lingua così lontana dalla nostra possa far paura nonostante io fossi una laureata in letterature e lingue straniere, la mia conoscenza del russa era assolutamente limitata. Quindi, se iniziamo ad elencare quali potevano essere i timori legati a un viaggio in un paese così lontano, così ripeto poco conosciuto, quindi la lingua, una mentalità non europea, una mentalità dell’est, legata a una storia molto diversa dalla nostra, una chiusura perché io sono l’anno stesso dell’elezione di Vladimir Putin quando, parlo di Mosca, non tutta la Russia, paese vastissimo, quando in quegli anni si cominciava a guardare all’occidente e purtroppo o per fortuna, poi dipende dai punti di vista, a prendere le nostre malsane abitudini dai centri commerciali ai locali, ai cinema, cinema intendo ai multisala e al consumismo, alle boutique, al lusso, alle macchine costosissime, ma quando sono arrivata io nel 2000, solo per capirci, era difficile anche trovare la saponetta piuttosto che comprare il sapone per la lavatrice. Quindi, sì, è stato molto, molto difficile. I primi mesi devo dire difficili.
Ed era anche la prima volta che andavi in Russia?
Sì, è stato il primo viaggio, la prima volta che io mettessi piede in un paese non nel mio primo viaggio importante o il mio primo trasferimento all’estero perché avevo avuto altre esperienze, ma in un paese così, sì. La prima volta.
E quali differenze hai potuto notare tra l’Italia e la Russia?
Allora, ho già fatto menzione di quelle che erano le differenze sostanziali legate un po’ a quella che è la storia, no? Il comunismo, quindi post caduta del muro, anche in Russia con la Perestrojka, ci sarebbe da fare un punto da fare che staremmo qui a dilungarci. In breve, la differenza: il clima che per quanto mi riguarda ha influito non poco sui miei stati umorali, sul mio stato d’animo generale e la lingua, la loro chiusura, non sono persone molto cordiali di primo acchito, noi, poi io vengo da una regione del centro-sud, siamo molto molto aperti, molto espansivi, ecco, molto cordiali e loro sono molto diffidenti.
Quindi pensi che in Russia siano più avanti come mentalità, come cultura, o più indietro, al nostro livello…?
Allora, sono andata in Russia per studiare, affascinata da quello che per me era stato uno studio, attraverso i libri, attraverso i romanzi, attraverso la poesia. Io ero innamorata di quel mondo. Arrivare lì, per me italiana: semplice, perché è risaputo e comprovato anche da me personalmente che loro nutrono un fascino nei confronti degli italiani, di tutto ciò che è il made in Italy, dalla moda al vino, all’arte, alla cultura. Quindi per me tutto molto semplice. Per noi italiani la Russia è il Colorado, un posto magnifico, siamo assolutamente accolti, ben visti, rispettati. Non posso dire la stessa cosa per altre situazioni razziali in quel paese o se volessimo aprire una parentesi, per il mondo omosessuale, o per coloro che la pensano in maniera di versa dal potere. Quindi io non ho avuto problemi assolutamente, se non di confronto, scontro, di mentalità mia, ero giovane, quindi piena di voglia di fare, di cambiare e non accettavo certe condizioni che per altri studenti con i quali io convivevo, perché vivevamo in una casa dello studente, quindi per me certe cose erano inaccettabili ma da europea, da italiana, per loro era normale non chiedere il perché, poi però se allarghiamo un attimo la visione, se ci spostiamo anche negli anni anche oggi in Russia, sembra il paese della libertà, dove tutto è concesso perché c’è un eccesso, c’è la possibilità di fare qualsiasi cosa, poi la città è particolare, c’è una ricchezza sfrenata, c’è la possibilità di qualsiasi tipo di divertimento, di qualsiasi tipo di beni di lusso però allo stesso tempo poi c’è un potere che limita tanto, quindi la parola libertà va intesa in maniera molto relativa, molto contestualizzata.
Perciò tra aver portato i tuoi cari con te o essere rimasta qua in Italia, se avessi avuto la possibilità, cosa avresti fatto?
Questa è una domanda che mi fa sorridere perché ho dovuto rispondere tante volte a questa domanda, io vivevo lì da quattro anni, quindi casa, amici, lavoro, tanto lavoro, tante soddisfazioni, sia professionali che economiche, considerate che ero partita appena laureata, quindi conoscevo benissimo quale era la situazione lavorativa in Italia, e lì ho sempre potuto scegliere cosa voler fare e tante belle proposte di lavoro. Poi ho conosciuto quello che poi è diventato mio marito tornando in vacanza in Italia, quindi mi sono trovata a dover prendere una decisione. Beh vi dico subito, anzi Giulia, ti dico subito che non c’ho pensato due volte a dire lascio tutto per rientrare. Uno perché si apprezzano tanto le cose quando si è lontano, quindi io ho imparato a capire di più cosa avevo lasciato stando lì e nello stesso tempo perché sapevo che ritornando in Italia avrei portato un po’ tutto il mio bagaglio acquisito in quegli anni in quel paese. Cose positive e anche magari cose non troppo positive.
E da quanto ti sei trasferita di nuovo in Italia sei mai tornata in Russia o hai intenzione di ritornarci o ti piacerebbe insomma?
Allora, sì, sono tornata in Russia per lavoro, una volta, per una settimana, nel 2009, quindi sono già passati tanti anni, ma erano già passati 5 anni rispetto al mio rientro. Città completamente diversa, l’ho trovata cambiata, modernissima, ma anche più difficile e anche una città che lancia delle sfide in ogni secondo, perché è importante come città, sotto tutti i punti di vista. Tornerei? Sì ci tornerei, ho avuto altre occasioni, purtroppo avevo altri impegni qui. È la mia seconda casa perché quattro anni non sono pochi, ho degli amici, il lavoro, quello che avevo lasciato e non mi dispiacerebbe tornare ma non per restare.
La ringraziamo per il suo tempo e grazie.
No grazie a te Giulia, è stato un piacere.

Giulia Michelon, Giovanni Mascia, Tommaso Marinello, Giacomo Boldrin

Intervista a Paula, dalla Romania

Buongiorno, come si chiama e quanti anni ha?
Buongiorno, mi chiamo Paula. Ho 38 anni e vivo a Selvazzano in provincia di Padova.

Cosa l’ha spinta ad emigrare dalla Romania, dal suo Paese nativo?
Nel 2004 sono arrivata qui, in Italia, e il motivo più importante tra tanti altri è stato la mancanza di lavoro del mio Paese… E anche se c’era lavoro era pagato pochissimo. Volevo avere una vita migliore per la mia famiglia.

Come mai ha scelto proprio l’Italia quando è partita?
Avevo dei parenti qua in Italia, mi hanno aiutata a trovare un lavoro e mi hanno chiamata per un posto come cameriera ai piani in un albergo in montagna.

Il viaggio com’è stato?
Il viaggio è stato un po’ pesante perché tra la Romania e l’Italia ci sono comunque 1700 chilometri.

Quando è arrivata qua le serviva il permesso di soggiorno, era difficile ottenerlo?
Sì, nel 2004 la Romania non era ancora dentro la Comunità Europea. Ho richiesto il permesso di soggiorno però non è mai arrivato.

Nel 2007, una volta che la Romania è entrata nell’Unione Europea, ha potuto chiedere la residenza in comune? Ha avuto qualche difficoltà?
Sì, perché da quando ero arrivata avevo lavorato sempre in nero e per avere una residenza, per richiedere una carta d’identità, c’era bisogno di un contratto di lavoro. Ho parlato con il proprietario dell’albergo e mi ha fatto un contratto, mi sono offerta di pagare io i contributi, e così sono riuscita a fare la residenza.

Lei è partita dalla Romania nel 2004, quindi sono passati più di dieci anni da allora, ha già fatto richiesta per la cittadinanza italiana?
Sì, l’ho richiesta nel 2014 ed è arrivata nel 2016. L’ho fatta non solo per me, ma anche per il futuro dei miei figli perché in qualche modo servirà qua.

Adesso che vive stabilmente in Italia, sente un po’ la mancanza del suo Paese, della sua famiglia?
Sì, ci vado poco, una volta all’anno. Mi manca la famiglia, mi mancano gli amici che avevo là, però anche qua mi sono fatta tanti amici e vivo bene anche qua.

Pensa che tornerà mai a vivere in Romania?
Io non penso, è mio marito che dice che potremmo ritornare là; però io no, penso che la nostra vita sia qui.

Ok, grazie.
Prego.

Alberti Riccardo, Amistà Alberto, Andrada Prajescu, Lovato Arianna, Alliegro Martina, Zara Tommaso

Intervista a Luigi Tadiello

Il signor Luigi Tadiello ha avuto un’esperienza molto particolare della migrazione forzata: suo padre, Giorgio Tadiello, che durante la Seconda Guerra Mondiale militava nell’esercito italiano, venne catturato dai nazisti in occasione del disastro politico che era conseguito all’armistizio tra le truppe italiane, gli Stati Uniti e l’Inghilterra, il tutto quando il piccolo Luigi aveva appena nove mesi. In questa intervista ci parlerà di questa avvincente storia e ci esporrà il suo pensiero riguardo alle migrazioni al giorno d’oggi.

Noi: L’immigrazione di massa è una problematica molto attuale. L’Italia, in particolare, è una delle mete principali dei migranti, vista la posizione geografica. Secondo Lei, quali sono le ragioni, nella maggior parte dei casi, che spingono le persone a cambiare patria?
L.T.: Allora, anzitutto occorre dire che l’Italia è una scelta privilegiata per la presenza di migliaia di chilometri di costa, in particolare la Sicilia. Per quanto riguarda le motivazioni, esse sono, purtroppo, conosciute: la guerra, in primo luogo (basti pensare alla Siria e alla Somalia), poi la fame (specialmente nei Paesi in crisi, come molti in Africa), i regimi dispostici e l’intolleranza religiosa. Molte persone, inoltre, anche se a me questa distinzione non piace per niente, differenziano i migranti in quelli forzati e quelli economici; questi ultimi vedono nell’emigrazione la spesso utopistica possibilità di avere una vita migliore e spesso non avrebbero diritto di stabilirsi in Italia.

Noi: Secondo Lei è più giusto accogliere queste persone o alzare le barricate per impedir loro l’accesso alle coste italiane?
L.T.: Beh, le barricate, a mio avviso, sono inutili anche quando le soluzioni sono drastiche, perché, specie se si parla di migrazioni bibliche, non fermano i migranti.  Se si volesse davvero fermarli, bisognerebbe essere più lungimiranti, investendo cioè nei Paesi da dove provengono per fare in modo che essi abbiano nel loro luogo d’origine la possibilità di vivere dignitosamente. Tuttavia, molti partiti xenofobi in Europa promuovono la difesa dall’afflusso di migranti alzando anche barriere fisiche.

Noi: Anche la Sua famiglia ha avuto esperienze di migrazione forzata. Potrebbe raccontarci brevemente come suo padre Giorgio fu costretto a “migrare” in Germania durante la Seconda Guerra Mondiale?
L.T.: Dunque, mio padre non era certamente migrato per motivi di fame o altro, ma a causa della guerra. Egli, infatti, militava nell’esercito italiano negli anni Quaranta e fu quindi presente nel giorno 8 settembre 1943, data in cui fu comunicato l’armistizio tra le truppe italiane, gli Stati Uniti d’America e l’Inghilterra. Da quel giorno in poi, le truppe tedesche presenti nel Nord Italia catturarono la parte dell’esercito italiano lì rimasta, esercito considerato traditore in quanto ex-alleato. Mio padre faceva parte proprio di quest’ultimo. In quel periodo, l’esercito italiano non si aspettava assolutamente questa reazione in quanto aveva pensato che, in occasione dell’armistizio, sarebbe cambiato solo il nemico, passando da una parte all’altra; ma non fu così. 600.000 soldati vennero deportati in Germania in diversi campi di concentramento e furono denominati “internati militari” al solo scopo di non definirli “prigionieri di guerra” e di poterli quindi sfruttare per i lavori forzati (i prigionieri di guerra non potevano essere costretti al lavoro in base alla Convenzione di Ginevra). La prigionia è durata 18 mesi e le condizioni erano talmente disumane da minare volutamente il senso di dignità degli internati. Purtroppo, circa il 20% di queste persone non fece mai ritorno a casa. Va detto che questi prigionieri sono stati davvero dei resistenti nei confronti dei nazisti e della Repubblica di Salò, in quanto hanno sempre rifiutato ogni forma di collaborazione con essi, nonostante il fatto che, passando dalla loro parte, avrebbero potuto benissimo sfuggire a tutta quella sofferenza. Inoltre, il giro di informazioni era praticamente inesistente e per molti mesi sia mio padre che la mia famiglia furono totalmente all’oscuro della reciproca condizione.

Noi: Si ricorda, nonostante fosse molto piccolo all’epoca, gli stati d’animo e le emozioni provate dalla sua famiglia durante la prigionia di suo padre?
L.T.: Questa è una bella domanda. Quando lui tornò dalla prigionia, io avevo tre anni ed ero vissuto per tutto quel tempo in “simbiosi” con mia madre e lei con me, tant’è vero che lei mi disse sempre che, se non ci fossi stato io, all’epoca, probabilmente lei non ce l’avrebbe fatta a sopravvivere. Tutti mi dicevano che mio padre era un eroe, un vincitore, però, in effetti, quando me lo sono trovato davanti per la prima volta, la mia prima impressione è stata quella di avere un estraneo di fronte a me. Il mio ricordo di lui, infatti, è quello di una persona chiaramente molto scossa e provata, con la quale, nonostante ci volessimo tutto il bene del mondo, proprio a causa di questi nostri traumi, non ho mai avuto quella confidenza estrema e viscerale che, normalmente, si ha nel rapporto padre-figlio.

Noi: Alla luce di quello che è successo a suo padre, che cosa pensa riguardo al fatto che ancora oggi esistano molteplici fenomeni di immigrazione forzata?
L.T.: Beh, più che forzata, io la definirei “forzosa”, che, secondo me, rende meglio l’idea. Infatti, mio padre fu catturato, ma, al giorno d’oggi, non è proprio così il fenomeno. Se guardiamo la Libia, per esempio, il fenomeno di migrazione è determinato da quello che, ormai, è diventato un business della malavita superiore a quello della droga, cioè lo scafismo, che persuade, anzi, quasi spinge, forza, appunto, i migranti a partire, guadagnando anche molti soldi proprio da loro. Se poi prendiamo in esame la Siria, beh, a loro non rimane che scappare, perché, presa tra due, tre fuochi diversi… La città di Aleppo, per esempio, è ormai quasi completamente rasa al suolo e agli abitanti non rimane che la fuga. Per l’Unione Europea questo fenomeno è da contrastare, tant’è vero che ha riempito di fondi la Turchia affinché non faccia passare i migranti. Questo provvedimento, per ora, sembra funzionare, ma molti Paesi europei sono comunque sempre più pieni di profughi. Anche questa, sostanzialmente, è una sorta di schiavitù, visto che loro cercano di fuggire e approdare in altri Paesi, ma trovano ogni tipo di barriera per cercare di fermarli.

Noi: Come pensa si potrebbe affrontare, senza danneggiare né i profughi né gli abitanti locali, il problema dell’immigrazione?
L.T.: Eh… questa domanda mette un po’ il dito nella piaga, perché, se noi guardiamo l’Italia, abbiamo sfiorato, mi pare, i 200.000 profughi lo scorso anno, e il loro numero è sempre in aumento. Ecco, qui andrebbe fatta la distinzione tra chi ha diritto di asilo e chi no, perché gli aventi diritto di asilo, si sa, fuggono davvero da situazioni disastrose, mentre chi non lo possiede, secondo le regole europee, andrebbe identificato e poi rispedito indietro. Ma qui direi che c’è un’ipocrisia che dura da un sacco di anni. Ci hanno anche accusato, e pure giustamente, al riguardo, visto che lasciavamo passare la maggior parte dei migranti per il nostro Paese, senza identificarli, perché tanto si sapeva che la maggioranza di loro sarebbe andata tutta verso le mete principali dell’epoca, cioè la Germania o la città di Londra, le quali si sarebbero occupate di accoglierli. Adesso, invece, tutti capiscono che la goccia sta facendo traboccare il vaso, nel senso che, intanto, ai profughi le tutele bisogna dargliele, e poi, nel caso in cui vengano respinti dal punto di vista burocratico, hanno diritto a tre gradi di ricorso. A molti potrà sembrare che, visto che si possono effettuare i controlli del diritto di asilo, queste misure siano eccessive, ma, in realtà, ogni caso è diverso dagli altri e va analizzato distintamente. Quindi: carenze nostre e dell’Europa che, probabilmente, è più attenta a reclamare il rispetto delle norme economiche che a occuparsi dei migranti.

Noi: L’ultima domanda è un po’ più colta. Il filosofo Seneca, nell’opera Consolatio ad Helviam matrem, riporta un brano relativo al rapporto tra migrazione e ambiente (che risulta attuale anche dopo 2000 anni), nel quale spiccano due interessanti passi: “Incessante è il peregrinare dell’uomo. In un mondo così grande ogni giorno qualcosa cambia: […]. Ma tutti questi spostamenti di popoli che cosa sono se non esili in massa?”. Che cosa ne pensa riguardo queste affermazioni?
L.T.: Beh, in questo dialogo che Seneca scrive alla madre nel periodo di esilio sotto l’imperatore Claudio per consolarla, il filosofo allarga il discorso e parla degli spostamenti di migrazione e delle loro cause, scrivendo un passo che espone i motivi delle migrazioni dell’epoca, trattando un tema che fa sembrare che questo testo sia stato scritto ieri o l’altro ieri. Sembra quasi un giornale di attualità: fughe da guerre, distruzione e spoliazioni, lotte intestine, persecuzioni religiose, eccessiva densità di popolazione, terremoti, pestilenze e attrazione verso Paesi nei quali sembra che “scorrano latte e miele”. Che dire? I motivi sono ancora gli stessi e lui dice, e qui si può essere d’accordo o meno, che sono inevitabili. Per quanto riguarda la mia personale esperienza, ho il ricordo vivo, tutt’ora impresso negli occhi, della stazione ferroviaria di Asiago, quando da piccolo ripartivo in treno per tornare a casa dopo due settimane di vacanza. Rivedo le scene delle partenze dei migranti italiani. C’erano i genitori ed i nonni che, ormai anziani, abbracciavano per l’ultima volta tra i singhiozzi i figli ed i nipoti in partenza per l’Australia, convinti che non li avrebbero mai più rivisti. Queste scene si vedono ancora al giorno d’oggi nelle più comuni immagini di migrazione. Purtroppo direi che le cause che li costringono a partire provengono da molto lontano: comportamenti da parte di molti Paesi improntati all’egoismo e per lo sfruttamento di manodopera a bassissimo costo, all’unico scopo di ottenere il massimo profitto. Pensiamo anche, ad esempio, alla Libia e all’Iraq, dove Nazioni forti hanno deposto i dittatori per tornaconti sempre di tipo economico, ottenendo non certo la soluzione dei problemi, ma solo una guerra totale con centinaia di migliaia di morti e milioni di esuli. In fin dei conti, queste situazioni rendono solo gli Stati più ricchi sempre più ricchi e i Paesi poveri sempre più poveri.

Noi: Va bene, grazie, signor Luigi, La ringraziamo per averci concesso la Sua disponibilità per questo progetto e Le auguriamo un buon proseguimento.
L.T.: E’ stato un vero piacere!
Noi: Grazie!

Boaretto Matteo, Cavinato Simone, Tadiello Gabriele, Tognon Emma, Valentini Elisa

Intervista a Mary emigrata a Londra

MARIANNA: Grazie mille per essere qua oggi.
MARY: Grazie a voi.
MARIANNA: E grazie per condividere la tua esperienza con noi.
MARTINA: Ringraziamo anche Giulia Majolo che non è potuta essere qui con noi sta sera ma che ha collaborato a fare l’intervista.
MARIANNA: Presentati e dicci un po’ di te.
MARY: Io sono Mary Novara. Sono qui proprio per portare la mia esperienza fatta all’estero. A Londra precisamente e spero possa esservi d’aiuto.
MARIANNA: Quali sono i motivi del tuo spostamento e perché proprio in quel posto?
MARY: Io ho deciso di andare a Londra a fare questa esperienza, prima di tutto perché volevo imparare la lingua, l’inglese, e per fare un’esperienza all’estero per diventare più indipendente ed essere sicura di me stessa. Infatti un’esperienza all’estero oltre che servire per imparare una lingua straniera serve proprio per diventare più indipendente.
MARTINA: Con quale mezzo ti sei spostata fino a lì? Come sei arrivata? E con chi eri?
MARY: Io ero completamente da sola e ho deciso di fare questa esperienza, come ho già detto, per imparare la lingua. Mi sono spostata con l’aereo ovviamente, e poi quando sono arrivata lì, i mezzi pubblici che ci sono a Londra, quindi l’Underground. E’ stato un viaggio molto duro perché sono partita completamente da sola, con una valigia di 36 Kg e quando sono arrivata la il primo impatto è stato proprio quello di essere un po’ dispersa da sola, nessuno che ti guarda, nessuno che ti aiuta. Hai questa rampa di scale e nessuno vede che non riesci a portare la valigia fino a su. Quindi il primo impatto non è stato proprio tanto bello a Londra, ho avuto paura all’inizio.
MARTINA: Quanti anni avevi quando sei arrivata la?
MARY: Avevo ventisette anni.
MARIANNA: E’ stato difficile lasciare la tua vita e i tuoi amici?
MARY: All’inizio si, mi è dispiaciuto un po’ ovviamente staccarmi dai miei amici, però avevo un obiettivo davanti da raggiungere e volevo raggiungerlo, e questo mi portava forza e coraggio. Certo che lì poi conosci tantissime altre persone che ti danno tantissimo e quindi non è che poi ti manca più di tanto la vita che hai lasciato. Anzi, è tutto nuovo, nuove esperienze, nuova vita, mille cose da imparare. Quindi sei presa da mille cose, è una metropoli, quindi non ti puoi annoiare, non puoi pensare…..oddio mi manca. Si, lo pensi, perché incontri mille difficoltà, però è tutta una sorpresa.
MARIANNA: Cos’hai provato quando sei arrivata?
MARY: Ecco, quando sono arrivata la prima cosa, come ho già detto, è stata la desolazione, un po’ impaurita perché hai questa città grandissima dove tutti corrono e tu ti senti li da sola, non conosci nessuno, non conosci la lingua, quindi parlano e non capisci cosa dicono. Ti guardano, ti chiedono e tu stai zitta e dici:….oddio e adesso cosa mi hanno detto? E’ difficile.
MARTINA: E’ stato difficile adeguarti lì quando sei arrivata? Ti ha aiutato qualcuno?
MARY: Quando sono arrivata io ho frequentato una scuola. Mi sono iscritta ad una scuola per imparare l’inglese, la West Mister, che si trova in centro a Londra e lì ho avuto degli aiuti da parte della scuola. Quindi per trovarmi l’alloggio e per trovarmi il lavoro poi sono andata da sola, ovviamente, a fare l’interview con i datori di lavoro e mi sono arrangiata, però loro ti aiutano a trovare i primi contatti. Mi hanno aiutata a trovare i primi contatti però dopo sei da sola e ti devi arrangiare.
MARTINA: Arrivata lì cosa hai fatto per mantenerti?
MARY: Sono andata a lavorare in primis in un ristorante sardo, dove c’erano degli Italiani ovviamente, e pensavo che questo mi potesse aiutare. No!. Non mi ha aiutato per niente perché dopo una settimana mi sono resa conto che parlavano solo Italiano e che quindi non riuscivo ad imparare niente di inglese. Ecco che mi sono licenziata e da sola sono andata in cerca tutto un giorno, camminando per le vie di Londra, sono andata in cerca di lavoro. Non è stato per niente facile, anzi, ed ero abbastanza depressa perché quando entravi dentro non parlavi inglese quindi loro ti davano in mano questa application form che tu devi compilare, è tipo un “sivin” che tu devi compilare e, non sapendo la lingua, risulta molto difficile. Quindi vocabolario, cerchi di capire, lo compili, lo consegni e poi speri che ti chiamino.
MARIANNA: Sei ancora in contatto con le persone che hai lasciato?
MARY: Assolutamente si perché, essendo la città grande, incontri delle persone con le quali leghi tantissimo, assieme ti dai coraggio. Persone straniere che anche loro sono lì per esperienze come la tua, quindi ti lega una cosa unica, ti aiuti tantissimo.
MARIANNA: Che differenze hai trovato tra il paese in cui sei ora e quello in cui sei stata?
MARY: Possiamo dire abissali, qui è tutto contenuto, solo a pensare alle distanze a quando tu ti muovi. Qui le distanze sono brevi, se vuoi andare a trovare un amico dici: ”ok vado a trovare un amico”, a qualsiasi ora e in un attimo ci sei. Lì vado a trovare un amico…si, ma è dall’altra parte di Londra, quindi due ore di underground, non è così semplice.
MARTINA: Ma tu, arrivata lì, sapevi già l’inglese? Sapevi qualcosa o proprio completamente il minimo indispensabile, che però ti ha aiutato?
MARY: Io quando sono arrivata a Londra sapevo pochissimo di inglese, se non le nozioni base, imparate alle medie perché nella mia scuola che ho fatto non c’era la lingua inglese, era una scuola d’arte, però queste nozioni di base mi sono servite per poter avere il primo approccio con gli inglesi. Non è stato semplice perché loro non ti aiutano quando sbagli a pronunciare la parola.
MARTINA: Sei felice adesso della tua scelta che hai fatto? Vorresti ritornare lì?
MARY: Io sono stata felicissima della scelta che ho fatto, perché Londra mi ha dato tantissimo, mi sono impegnata tantissimo per raggiungere l’obiettivo e consiglio a tutti quelli che fanno un’esperienza proprio di avere di fronte a loro l’obiettivo e di non mollarlo mai perché, essendo in una grande metropoli, tante volte ti capita di cadere, di prendere paura, di dire: “oddio non ce la faccio”. Devi avere presente davanti a te l’obiettivo e dire: “ok io ce la faccio, io voglio farcela”. Questo mi ha dato coraggio proprio per avanzare, infatti Londra mi ha dato tanto, e non mi sono pentita per niente di aver fatto questa esperienza, anzi, mi è dispiaciuto molto lasciare Londra, ma purtroppo ho dovuto lasciarla per problemi familiari, sennò io sarei ancora lì.
MARIANNA: Quindi ci ritorneresti?
MARY: Assolutamente si.
MARTINA: Dopo che sei ritornata hai sentito la mancanza dell’Inghilterra?
MARY: Tantissimo.
MARTINA: E non hai pensato di ritornarci?
MARY: Ho pensato di ritornarci, però purtroppo questi miei problemi familiari mi hanno trattenuta per anni qui in Italia, fino a poco tempo fa. Però la differenza è incredibilmente….come si può dire….un mare…..un mare di differenza. Solo pensare che quando sono arrivata in Italia, all’aeroporto di Treviso, sono andata a pagare la colazione con la carta di credito e il bancomat. Mi hanno guardata malissimo e mi hanno detto: “No mi scusi, qui non può pagare con il bancomat”. In un aeroporto dove a Londra paghi anche un pacchetto di chewing gum con la carta di credito. Questo è stato il primo esempio, poi mi resi conto che mi sembrava di essere nel Medioevo rispetto a Londra e ancora a distanza di anni ho questa sensazione.
MARTINA: Va bene, ti richiameremo quando avremo bisogno di consigli per Londra e di una guida per dove alloggiare.
MARY: Assolutamente si, vi darò qualsiasi consiglio ragazze e vi consiglio di fare un’esperienza all’estero, che sia Londra, che sia la Spagna, qualsiasi altra metropoli andate a fare un’esperienza all’estero.
MARTINA: Va bene grazie.
MARIANNA: Grazie mille.
MARY: Grazie a voi ragazze.

Martina Valente, Marianna Filipuzzi, Giulia Majolo, Carlotta Fincato